La fondazione dell'Associazione Calcio Napoli avvenne il 25 agosto 1926 (sebbene la data venga tradizionalmente anticipata al 1º agosto) su iniziativa dell'industriale napoletano Giorgio Ascarelli, il quale ne assunse la presidenza. Di fatto, la nascita del Napoli avvenne attraverso un cambio di denominazione dell'Internaples, un club sorto a sua volta nel 1922 come frutto della fusione di altre due compagini, il Naples Foot-Ball Club e l'Unione Sportiva Internazionale Napoli grazie all'intermediazione di Emilio Reale. Nel frattempo, il 3 agosto era stato istituito il Direttorio Divisioni Superiori, l'antesignano dell'odierna Lega Calcio, al quale il Napoli ottenne l'affiliazione, unico club del Centro-Sud insieme ai sodalizi capitolini Alba Audace e Fortitudo Pro Roma, in virtù del piazzamento conseguito dall'Internaples nella Prima
La società esordì in massima serie nella Divisione Nazionale 1926-1927. Le prime due stagioni si chiusero con la retrocessione in Seconda Divisione, ma la F.I.G.C. in entrambe le occasioni accordò la riammissione per premiare gli sforzi del club partenopeo di recuperare il pesante gap con le società settentrionali[9]. Dopo i difficili inizi, la situazione però migliorò rapidamente, grazie soprattutto all'apporto dell'italo-paraguayano Attila Sallustro, primo idolo dei tifosi partenopei. In questi primi anni il Napoli si affidò come allenatori ad ex-calciatori austriaci, come Anton Kreutzer, Bino Skasa, Jean Steiger e Otto Fischer (che morrà tragicamente nell'olocausto), all'ungherese Ferenc Molnár e all'italiano Giovanni Terrile.
Il Napoli prese parte al primo torneo di massima serie a girone unico, la Serie A 1929-1930 ottenendo la prima vittoria in tale competizione ai danni del Milan. La società scelse come allenatore il mister[11] William Garbutt, già vincitore di tre scudetti con il Genoa. Nei 6 anni in cui fu sotto la sua guida, il Napoli, grazie al contributo di giocatori come Antonio Vojak e Attila Sallustro, raggiunse notevoli risultati, come il doppio terzo posto consecutivo nelle stagioni 1932-1933 e 1933-1934 e la qualificazione alla massima competizione europea dell'epoca, la Coppa Mitropa
Nel 1936 entrò in società il comandante Achille Lauro, armatore di grande successo, che non riuscì tuttavia ad apportare particolari benefici al club partenopeo: nella seconda metà degli anni trenta la qualità della squadra andò declinando, fino a culminare nella retrocessione nella categoria inferiore nel 1941-1942.
Terminata la seconda guerra mondiale, il Napoli prese parte alla Divisione Nazionale 1945-1946, vincendo il girone misto Centro-Sud e riconquistando la massima serie[19]. Tornò in Serie B due anni dopo, retrocesso dalla CAF per illecito sportivo[20]. La panchina venne affidata ad Eraldo Monzeglio, che riportò la squadra in Serie A e avviò un lungo periodo alla guida del club partenopeo[21]. Nonostante i rinforzi del presidente Achille Lauro, tra i quali Bruno Pesaola, Hasse Jeppson e Luís Vinício, il Napoli non andò oltre il quarto posto del 1952-1953 e del 1957-1958. Nel 1959 venne inaugurato lo stadio San Paolo.
Tornato in Serie B nel 1961[24], il Napoli venne affidato a Bruno Pesaola, il quale riportò gli azzurri in massima serie e vincendo anche il primo trofeo della storia del club, la Coppa Italia 1961-1962, divenendo con il Vado l'unica società a vincere il trofeo non militando in massima divisione. Questo successo, sancì l'esordio del Napoli in europa, giocando la Coppa delle Coppe, nella quale raggiunse i quarti di finale. Il 25 giugno 1964 il club assunse la denominazione di Società Sportiva Calcio Napoli, diventando contestualmente una società per azioni[25]. Achille Lauro ottenne una quota rilevante delle azioni in virtù dei crediti vantati e garantì al figlio Gioacchino l'ingresso tra i soci, mentre Roberto Fiore venne eletto presidente[26][27]. Alcuni dei giocatori più rappresentativi dell'epoca furono Dino Zoff, Antonio Juliano, Omar Sívori e José Altafini[28]; il miglior risultato fu il secondo posto del 1968.
L'era Ferlaino
Il 18 gennaio 1969 la società, sull'orlo del dissesto finanziario, passò nelle mani di Corrado Ferlaino, che avviò la più longeva e vincente presidenza della storia partenopea[30]. Con l'acquisto di calciatori come Sergio Clerici, Giuseppe Bruscolotti e Tarcisio Burgnich, il Napoli raggiunse due volte il terzo posto (1971 e 1974) e un secondo posto nel 1975, questi ultimi due piazzamenti ottenuti grazie al calcio totale di Luís Vinício[31][32][33]. Nel 1976 il club azzurro vinse la seconda Coppa Italia, superando in finale il Verona[34]. Nella seconda metà degli anni settanta nonostante l'acquisto del bomber Giuseppe Savoldi, il rendimento in campionato peggiorò, culminando con il decimo posto del 1980[35].
Dopo uno scudetto sfiorato nel 1981, con il libero olandese Ruud Krol tra i protagonisti[36], la svolta si ebbe nell'estate del 1984: il presidente Ferlaino il 30 giugno 1984 definì l'acquisto più importante della storia del club, il campione argentino Diego Armando Maradona dal Barcellona per la cifra record di 15 miliardi di lire[37].
Sotto la guida di Ottavio Bianchi e con l'innesto di calciatori come Bruno Giordano, Salvatore Bagni, Claudio Garella e Alessandro Renica[38], nel 1987 il Napoli conquistò il suo primo scudetto[39][40] e la terza Coppa Italia[41].
Il club si consolidò ai vertici del calcio italiano con gli innesti dei brasiliani Careca e Alemão; il Napoli arrivò per due volte consecutive secondo (1988 e 1989) e sempre nel 1989 ottenne anche il primo alloro internazionale, la Coppa UEFA, superando nella doppia finale lo Stoccarda[42][43]. Nel 1990, con Alberto Bigon allenatore, il club partenopeo conquistò il secondo scudetto, cui fece seguito la vittoria della Supercoppa Italiana[44]. Nel 1991 con la partenza di Maradona, si chiuse il primo importante ciclo della storia azzurra.
Declino e rinascita
Negli anni seguenti il Napoli ottenne discreti risultati, un quarto posto nel 1992 con Claudio Ranieri in panchina e un sesto posto nel 1994, allenatore Marcello Lippi. La crisi finanziaria costrinse il club a privarsi dei suoi uomini migliori. Nei due anni successivi, con Vujadin Boškov in panchina, il Napoli ottenne un settimo e un decimo posto e raggiunse la finale di Coppa Italia 1996-1997, sconfitto dal Vicenza. La crisi raggiunse l'apice nel 1998, con la retrocessione in Serie B dopo 33 anni consecutivi di massima serie. Il club ritornò in Serie A nel 2000, per retrocedere dopo appena un anno. L'entrata in società di Giorgio Corbelli prima e di Salvatore Naldi poi, non portò benefici al club, ma la squadra ristagnò a metà classifica.
Alla crisi di risultati si aggiunse l'ormai compromessa situazione finanziaria, che portò nell'estate del 2004 al fallimento del club con conseguente perdita del titolo sportivo[55]. Nelle settimane successive l'imprenditore cinematografico Aurelio De Laurentiis rilevò il titolo sportivo dalla curatela fallimentare del tribunale di Napoli e iscrisse la squadra, con la denominazione di Napoli Soccer, al campionato di terza serie[56][57]. Soltanto sfiorata nel primo anno, la promozione arrivò nel 2006 sotto la guida di Edoardo Reja[58].
L'era De Laurentiis
Dopo aver riacquisito la denominazione originaria di Società Sportiva Calcio Napoli, volutamente non utilizzata nei due campionati di terza serie, nel 2007 il club conseguì l'immediata promozione in Serie A ritornandovi dopo 6 anni di assenza[60]. Alla guida della squadra si avvicendarono l'ex CT della Nazionale Roberto Donadoni[61] sostituito da Walter Mazzarri che nel 2011 riportò il club nella massima competizione europea, la UEFA Champions League, 21 anni dopo l'ultima partecipazione[63]. Il 20 maggio 2012 vinse la quarta Coppa Italia, 25 anni dopo l'ultima affermazione e in assoluto quasi 22 anni dopo l'ultimo trofeo, battendo in finale la Juventus per 2 a 0[64].
Per la stagione 2013-14 venne ingaggiato come allenatore Rafael Benítez, che conquistò subito un trofeo, consegnando al club la quinta affermazione in Coppa Italia, grazie alla vittoria per 3-1 in finale contro la Fiorentina[66]. Nella stagione successiva, il Napoli vinse la seconda Supercoppa italiana battendo la Juventus nella finale di Doha, in Qatar. Dopo i due anni sotto la guida di Benítez, terminata con un 5º posto in Serie A e la vittoria in Supercoppa, la squadra viene affidata all'ex Empoli Maurizio Sarri che al primo anno, rende il Napoli simbolicamente campione d'inverno (non succedeva dalla stagione 1989-1990).
Il primo campo da gioco utilizzato dal Napoli fu lo Stadio Militare dell'Arenaccia: voluto da Alberico Albricci, fu inaugurato nel 1923 e assegnato nel 1926 al neonato club partenopeo. Nel 1929 il presidente Giorgio Ascarelli commissionò la costruzione di un nuovo stadio: inizialmente denominato Stadio Vesuvio, venne inaugurato il 23 febbraio 1930 con la partita tra azzurri e Juventus, terminata 2-2. Poco tempo dopo Ascarelli venne a mancare e lo stadio gli fu intitolato a furor di popolo, ma in seguito le leggi razziali imposero un ulteriore cambio di nome in Stadio Partenopeo. Rinnovato e ampliato in occasione dei Mondiali 1934, l'impianto fu completamente raso al suolo dai bombardamenti alleati nel corso della seconda guerra mondiale.
Il club si trasferì quindi allo stadio Arturo Collana del Vomero, già provvisoriamente utilizzato ai tempi dei lavori di ristrutturazione del precedente impianto[71]. Rinominato per breve tempo Stadio della Liberazione nel dopoguerra, era tuttavia inadeguato alle esigenze del club: emblematica la situazione nella quale venne giocata Napoli-Juventus (4-3 il risultato finale) del 20 aprile 1958, con il pubblico assiepato a bordo campo.
Venne così progettato un nuovo impianto nel quartiere di Fuorigrotta, denominato stadio San Paolo per celebrare la tradizione secondo la quale San Paolo, in viaggio verso Roma, avrebbe attraccato in quest'area di Napoli. Venne inaugurato il 6 dicembre 1959, in una partita contro la Juventus (2-1 per i partenopei).
Il Napoli è una società per azioni dal 25 giugno 1964, allorquando il proprietario dell'allora Associazione Calcio Napoli, Achille Lauro, coadiuvato da altri soci come Antonio Corcione, Luigi Scuotto e Roberto Fiore, costituì la Società Sportiva Calcio Napoli S.p.A. con capitale sociale di 120 milioni di lire.
Il 99,8% delle azioni della società partenopea è controllato dalla Filmauro S.r.l., mentre il restante 0,2% appartiene ad Aurelio De Laurentiis, presidente del CdA.Il capitale della controllante Filmauro, a sua volta, è intestato per il 90% alla fiduciaria Romafides del gruppo UniCredit (il cui compito istituzionale è quello di coprire il reale possessore, Aurelio De Laurentiis, e di offrire servizi di gestione per suo conto) e per il restante 10% a Jacqueline Baudit, moglie di De Laurentiis.
Attraverso la partecipazione diretta dei propri tesserati, il club azzurro ha patrocinato iniziative a sostegno delle strutture ospedaliere cittadine,[86] oltre a iniziative di sensibilizzazione contro la violenza nello sport e la povertà infantile. Con l'appoggio all'associazione cittadina Scugnizzi, che opera nel penitenziario minorile di Nisida, il Napoli sostiene svariati progetti volti al reinserimento sociale dei giovani detenuti una volta scontata la loro pena.
Tramite raccolte di fondi sostenute direttamente e indirettamente dai propri tesserati, il Napoli ha fornito il proprio appoggio a istituzioni come la Robert F. Kennedy Foundation[90][91][92][93], Telethon[94], la Fondazione San Raffaele, la Fondazione Stefano Borgonovo e la Fondazione Massimo Leone Onlus.
Il club partenopeo si è inoltre impegnato con diverse iniziative a sostegno delle vittime del terremoto dell'Aquila del 2009, dalla devoluzione degli incassi delle partite[96] alla raccolta fondi per la costruzione di un centro polisportivo antisismico nel capoluogo abruzzese.
Ebbe origine all'inizio degli anni venti, quando il Naples e l'Internazionale Napoli non si erano ancora fuse[98], su iniziativa del presidente dell'Internazionale Emilio Reale. Il primo prodotto del vivaio azzurro fu Attila Sallustro, allora undicenne[98].
Nei primi anni sessanta si formò il mediano Antonio Juliano, divenuto in seguito il secondo giocatore con più presenze in maglia azzurra tra campionato e coppe.
Negli anni settanta il settore giovanile vinse il Torneo di Viareggio 1975 e il Campionato Primavera 1978-1979[100]. La rosa campione d'Italia Primavera, allenata da Mario Corso, comprendeva calciatori che debuttarono in prima squadra come Raffaele Di Fusco, Luigi Caffarelli, Costanzo Celestini e Giuseppe Volpecina i quali vinsero lo scudetto del 1987.
Negli anni ottanta il vivaio fornì alla prima squadra il difensore Ciro Ferrara, il quale vinse tutti gli allori dell'epoca d'oro del club partenopeo.
Nell'epoca post-Maradona il Napoli visse un momento di profonda crisi ed anche il settore giovanile venne trascurato; nonostante ciò, negli anni novanta in Serie A debuttarono giovani talenti, su tutti Fabio Cannavaro, futuro campione del mondo e Pallone d'oro 2006. Inoltre ci fu l'affermazione nella Coppa Italia Primavera 1996-1997 e nel Campionato Allievi dello stesso anno. In questo periodo fu costruito il centro sportivo di Marianella, che avrebbe dovuto essere all'avanguardia a livello di formazioni giovanili[102], ma la struttura fu lasciata nel totale degrado fino alla sua chiusura. Col fallimento del 2004, il settore giovanile fu smembrato, e venne ricostituito con l'avvento di Aurelio De Laurentiis, ottenendo come primi risultati un titolo Berretti di Serie C. Il lavoro dello staff tecnico diede ulteriori frutti portando al ritorno di alcuni azzurrini nel giro delle nazionali giovanili. Nel 2010 ci fu la partecipazione al Torneo di Viareggio dopo 7 anni di assenza[105].
La partita di spareggio Napoli-Lazio del 23 giugno 1929, valida per l'ammissione al primo campionato di Serie A a girone unico, fu il primo incontro di campionato a essere trasmesso in una rudimentale "radiocronaca" (non si può parlare di radiocronaca vera e propria, in quanto quest'ultima venne introdotta in Italia solo qualche anno dopo); infatti il Mezzogiorno sportivo, quotidiano di Napoli, aveva inviato allo stadio di Milano (dove si disputò lo spareggio) un giornalista, che durante la partita telefonava alla redazione descrivendo le varie azioni di gioco; il contenuto della telefonata veniva poi trascritto dal giornalista Michele Buonanno che inviava i dispacci a un altro giornalista, Felice Scandone, che ne leggeva il contenuto da un balcone, informando così la folla in trepidante attesa dell'andamento dello spareggio. La partita terminò 2-2 ed entrambe le squadre vennero ammesse al primo torneo di massima serie a girone unico.
Nel video All Now Remix del gruppo rap The Movement, uno dei cantanti indossa la maglia numero 94 di Nathaniel Chalobah. Altri riferimenti si hanno nei film, Quel ragazzo della curva B[108], in cui appaiono, nel ruolo di se stessi i calciatori Andrea Carnevale, Giuseppe Bruscolotti e Bruno Giordano[108], nel film Tifosi[, dove Nino D'Angelo interpreta un tifoso partenopeo, con la presenza nel ruolo di sé stesso di Diego Armando Maradona[, nel film Paulo Roberto Cotechiño centravanti di sfondamento, nel film biografico su Maradona, Maradona - La mano de Dios e in Colpi di fortuna prodotto da Aurelio De Laurentiis
Tra i calciatori di rilievo che hanno giocato con la maglia del Napoli risultano Attila Sallustro, che assieme a Marcello Mihalich fu il primo calciatore del Napoli a giocare in Nazionale, Antonio Vojak, Enrico Colombari, Amedeo Amadei, calciatore del Napoli più prolifico con la maglia della Nazionale italiana con 4 gol, l'attaccante svedese Hasse Jeppson prelevato dall'Atalanta e acquistato da Achille Lauro nel 1952 in cambio di 105 milioni di lire, il brasiliano Luís Vinício, Bruno Pesaola, i campioni d'Europa del 1968 Antonio Juliano e Dino Zoff, José Altafini e Omar Sívori (vincitori della Coppa delle Alpi 1966), Giuseppe Savoldi[133] (vincitore della Coppa Italia 1976) e il libero olandese Ruud Krol.
Il 1984 vide la partenza di Krol e contestualmente l'arrivo del calciatore più importante della storia partenopea, Diego Armando Maradona e universalmente riconosciuto come uno dei più talentuosi calciatori di tutti i tempi,venne prelevato nell'estate di quell'anno dagli spagnoli del Barcellona per la cifra record di 15 miliardi di lire. Maradona recitò un ruolo decisivo nelle vittorie del club azzurro, il cui palmarès è in buona parte riconducibile al suo periodo di militanza in maglia partenopea: divenne capitano della squadra e nel giro di sette stagioni condusse il club alla vittoria di due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa UEFA e una Supercoppa Italiana,[138] e una sorta di icona popolare per la città di Napoli, da lui lasciata nel 1991 a seguito di gravi vicissitudini personali.[45] È insieme a Edinson Cavani e a Gonzalo Higuaín l'unico calciatore del Napoli ad aver vinto la classifica cannonieri in Serie A (1987-1988, 15 reti). Nel 2000 il club partenopeo ritirò in suo onore la maglia numero 10.
Maradona venne coadiuvato, nel corso dell'esperienza partenopea, da una serie di calciatori di notevole livello. Tra questi Ciro Ferrara, Bruno Giordano e il brasiliano Careca, che insieme al trequartista argentino costituirono il celebre trio d'attacco Ma.Gi.Ca.
Nella storia recente, i calciatori di maggior rilievo sono stati l'uruguaiano Cavani, capocannoniere della A nel 2013 con 29 gol e vincitore della Coppa Italia 2012, e l'argentino Higuain, vincitore della Coppa Italia e della Supercoppa italiana nel 2014. Inoltre, l'argentino è stato capocannoniere della A nel 2016 con 36 marcature, battendo il record di reti segnate in un campionato a venti squadre, fino a quel momento appartenuto a Nordahl (35 reti nel 1949-50 con il Milan). Higuain fu ceduto alla Juventus a fine stagione per € 90 milioni, nell'operazione di mercato più ricca della storia del calcio italiano.
Maglie ritirate
Il Napoli nell'estate del 2000 ritirò la maglia n. 10 appartenuta a Diego Armando Maradona dal 1984 al 1991, come tributo alla sua classe e al notevole contributo offerto in sette stagioni con la casacca partenopea[139][144].
Tuttavia, per motivi regolamentari, il numero venne ristampato sulle maglie azzurre dal 2004 al 2006 in Serie C1, torneo dove vige la vecchia numerazione dall'1 all'11. Va al calciatore argentino Roberto Carlos Sosa il primato di essere stato l'ultimo ad indossare la 10 al San Paolo e contemporaneamente a segnare, nella gara contro il Frosinone del 30 aprile 2006.
Al 2016, 25 calciatori hanno ricoperto tale ruolo ufficialmente. Oltre al già citato Innocenti[146], la fascia è stata indossata da altri due oriundi, Attila Sallustro[121] e Bruno Pesaola[147]. A parte i due argentini Diego Armando Maradona e Roberto Ayala e lo slovacco Marek Hamšík, i restanti capitani sono tutti di nazionalità italiana.
Il periodo più lungo con la fascia di capitano della squadra azzurra è stato quello di Antonio Juliano, con dodici stagioni tra 1966 e 1978.
Al 24 marzo 2016 sono 46 i calciatori del Napoli ad aver ricevuto la convocazione nella Nazionale maggiore italiana, 33 dei quali hanno effettivamente collezionato almeno una presenza. Il recordman di presenze è Fernando De Napoli (49), mentre Amedeo Amadei (6) con quattro reti detiene il record di marcature in nazionale[125].
I primi calciatori azzurri a militare in Nazionale furono Marcello Mihalich (1) e Attila Sallustro (2), che debuttarono il 1º dicembre 1929 contro il Portogallo. La partita terminò 6-1, con reti di Mihalic (che realizzò una doppietta, divenendo anche il primo azzurro a segnare in Nazionale) e di Sallustro. Il portiere Giuseppe Cavanna fu convocato per il Mondiale 1934 e si laureò campione del mondo.
Bruno Pesaola in Nazionale collezionò l'unico gettone di presenza, come oriundo[128], il 26 maggio 1957[151].
Negli anni sessanta approdarono in azzurro Antonio Juliano (18) e Dino Zoff (19)[130], che conquistarono il titolo europeo nel 1968 e il secondo posto nel Mondiale 1970. Juliano partecipò anche ai mondiali del 1966 e del 1974, mentre Mauro Bellugi partecipò all'Europeo del 1980.
Nella seconda metà degli anni ottanta, il Napoli ebbe un buon numero di convocati, tra i quali, Salvatore Bagni (28), Ciro Ferrara (25), Massimo Crippa (12), Andrea Carnevale e Giovanni Francini.
Christian Maggio (34) esordì contro la Grecia, il 19 novembre 2008. Il 5 settembre 2009, Fabio Quagliarella fu convocato contro la Georgia per le qualificazioni al mondiale del 2010 a cui prese parte insieme a Christian Maggio e a Morgan De Sanctis (3)[160]. Quagliarella divenne il primo calciatore del Napoli a segnare in un mondiale, realizzando contro la Slovacchia il gol che fissò il risultato sul definitivo 3-2 per la nazionale mitteleuropea[161]. Lorenzo Insigne (13), prodotto del vivaio azzurro, fu convocato ai mondiali del 2014 in Brasile, collezionando una presenza. Fu convocato anche per l'Europeo del 2016.
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