Nella fredda sera invernale, esco in giardino per ammirare il cielo limpido e stellato.
Poco distante dalla mia casetta scorre la ferrovia ed in quel momento, passava un lungo treno avvolto nell'oscurità, del quale spiccava la luce dei finestrini dietro i quali c'era la gente in viaggio verso chissà quale destinazione..
Ho guardato quella striscia nera sferragliante passarmi davanti agli occhi ed è come se, ad un tratto, il mio corpo fosse rimasto lì, in piedi, davanti alla porta‐finestra, un pò intirizzito dal freddo, e la mia anima fosse volata su quel treno. Un piccolo viaggio astrale.. una fuga dalla realtà di qualche secondo, durata un'eternità..
Amo viaggiare. Amo qualsiasi mezzo che mi porti via.
Non è tanto la meta, quanto proprio il viaggio in sè.
Adoro farlo da solo, ma anche in compagnia.
Non indiscriminatamente.
Perché ci sono viaggi che vanno fatti da soli.
Così come certe esperienze di vita.
E quindi, mentre i miei piedi accarezzavano l'erba del mio praticello, il mio cuore accarezzava l'idea di essere sulla carrozza, anche di seconda classe, di quel frecciarossa, diretto chissà dove, ma, sicuramente, attraversando luoghi inesplorati della mia anima.
Gianluigi de Martino
Libero pensatore.

Auguri a tutti i papà.
Per festeggiare questa ricorrenza, vorrei dedicare queste righe che ho scritto qualche tempo fa a chi ama, ma talvolta usa male questo amore.
buona lettura.

Così scrivevo qualche tempo fa uno dei miei editoriali che aveva la presunzione di sintetizzare gli aspetti che legano il mondo dello sport ai modelli educativi e pedagogici.
Mai come oggi mi ritrovo d'accordo con me stesso.

È finita.
Giù il sipario.
Non subito, però, non prima di aver detto alcune cose.
Non è facile scrivere senza che gli occhi si inumidiscano e non salga un nodo alla gola grande come un macigno..
Ma ci proverò..
Sono state due stagioni strane: esaltanti e faticose contemporaneamente.
Ma proprio l'entusiasmo è stato il motore che ci ha consentito di superare i momenti difficili, quelli duri dai quali pensi di non poterti ti**re fuori.
Ed è stata la fatica che ha dato quel valore impagabile alle vittorie ed ai successi.
Tornavo in panchina dopo 2 anni da responsabile tecnico dei centri federali di Gassino e Carmagnola.
La voglia di allenare era ai minimi storici. Tutto faceva presagire che si stava avvicinando il momento, dopo 20 anni di panchine, per appendere il fischietto e la lavagnetta al chiodo.
Ma quella telefonata di Piercesare Uras oggi ha un sapore completamente diverso. Il sapore della soddisfazione e della gratitudine.
Il progetto era chiaro anche se tutt'altro che semplice.
Ci siamo messi al lavoro e, con passione e dedizione, abbiamo affrontato un percorso meraviglioso che ha portato tantissimi giovani calciatori del Gassino nei ranghi della nostra prima squadra in prima categoria prima ed in promozione poi.
Si conclude qui il mio lavoro.
Non sarebbe stato così straordinario questo percorso se non fossi stato affiancato dal mio vice Roberto Rebola, dal mio Team Manager Roberto Morello, dai miei dirigenti Alice Uras, Domenico Raco, Sara Carielo, Marco Ducato, Claudio Campagnoli, Domenico Galla.
A loro il mio ringraziamento più profondo perché oltre ad essere degli ottimi dirigenti, sono delle persone eccezionali!
Infine, un ringraziamento speciale.
Il mio ringraziamento a tutti i miei ragazzi che in questi due anni mi hanno fatto urlare di rabbia e di gioia, mi hanno fatto sognare e gioire, mi hanno fatto sentire importante per loro tanto quanto loro lo sono stati e lo saranno per me.
A loro il mio augurio che possano continuare a rincorrere quel pallone divertendosi e sorridendo, per un'altra partita, per un'altra vittoria.
Grazie Juniores Regionale, Grazie USD Gassino-Sanraffaele.
Ed ora, prima che il telefono si bagni di lacrime..
.Sipario.


Sabato guiderò la mia squadra dalla tribuna per via di un "rosso" che ancora suscita in me amarezza e delusione.
Voi direte "e sti cazzi", ma vorrei approfittarne per fare una riflessione.
L'episodio si potrebbe narrare in poche righe e non sto qui a tediarvi, però quel il cartellino rosso che mi è stato sventolato davanti al naso non è semplicemente un'espulsione da un campo di calcio, da una partita di pallone. Quel cartellino è e rappresenta l'apoteosi della mediocrità e del potere che se mal riposto può fare danni e provocare conseguenze molto più gravi di quanto non ci si aspetti.
Perché vedete, il potere è una cosa importante e chi lo detiene non solo deve avere le competenze per poterlo esercitare, ma sopratutto deve avere la consapevolezza di quanto quel potere sia importante.
Certo nel caso della classe arbitrale dei campionati dilettantistici sarebbe come sparare sulla croce rossa: pochi arbitri e spesso mal preparati, talvolta recuperati a "fine carriera" dove prestanza fisica e motivazione sono conservate nel museo dell'AIA oppure giovani giovanissimi buttati in pasto a giocatori più grandi di loro in match in confronto ai quali le risse da bar sembrano riunioni del club degli scacchi.
Un perfetto gatto che si morde la coda. Più è basso il numero di arbitri e più non si potrà fare selezione, meno selezione determinerà meno qualità, con meno qualità avremo arbitraggi che creeranno situazioni che faranno incazzare con conseguenti insulti ed aggressioni.. e tutto ciò non fa che disincentivare e disappassionare chi vorrebbe avvicinarsi al mondo dell'arbitraggio. E la giostra ricomincia.
Io non ho il coniglio nel cilindro, ma ho poche semplici regole che mi impongo e che impongo alle mie squadre: l'arbitro è intoccabile. Aiutandolo ci aiutiamo a rendere la partita divertente e regolare.
Eppure, nonostante ciò, quel cartellino mi terrà fuori dal campo per 2 settimane.
Non porto rancore per quell'arbitro che mi ha espulso ingiustificatamente (tra l'altro con sua ammissione a fine gara.. ma tant'è).
Semmai ho preoccupazione, perché in gioco c'è la qualità dell'attività sportiva dilettantistica che i nostri bambini e ragazzi dovrebbero poter fare in ambienti sani e sereni, che siano essi giocatori o che siano essi arbitri.
E c'è ancora chi la chiama festa.
C'è chi fa gli "auguri"!
Oggi è la giornata internazionale del diritti della donna.
Questa è una di quelle giornate in cui l'uomo dovrebbe provare vergogna.
Vergogna per i diritti calpestati alle mamme.
Vergogna per i diritti negati alle lavoratrici.
Vergogna per i diritti soppressi con i femminicidi.
Vergogna per ogni volta che ha detto "sono per la partita di genere, PERÒ.."
Non c'è un ma, non c'è un però.
Esiste una parità di opportunità, una parità di trattamento, una parità di dignità. Punto.

Ama il silenzio,
Anch'esso comunica.
Ascolta gli sguardi,
Urlano i sentimenti.
Osserva i gesti,
Misurano la verità delle intenzioni.
Rispetta il tuo tempo,
Unico specchio della volontà.
(Io me medesimo)

L'essere umano è una specie in via di estinzione. Ma ancora non lo sa, forse.
E sai da cosa lo si capisce?
Dai 3", in media, che ci mette per suonare il clacson a quello davanti che non parte al semaforo.
L'essere umano si estinguerà, ma non per forza spariranno gli uomini e le donne da questo pianeta.
Diventerà, semplicemente, sempre più raro trovare l'essere umani, cioè l'essenza dell'umanità.
E sai perché?
Perchè vedi, quando si perde il senso del tempo, si perde in realtà la capacità di misurare la propria grandezza, o piccolezza, immersa nell'infinita bellezza della vita.
È questione quindi di consapevolezza?
Sicuramente è questione di spazio e tempo e del modo con cui l'uomo si colloca in essi. Quindi sì, di consapevolezza.
L'uomo soffre troppo di mania di protagonismo, di egocentrismo, di arroganza, e questi virus si insinuano come un cancro nel corpo sociale, divorano le virtù e non lasciano via di scampo.
Ma tu guarda, chi l'avrebbe mai detto.. per salvare l'Essere Umani, potrebbe bastare il cominciare a togliere la mano da un clacson..
Già, un semplice clacson.

Giungiamo anche quest'anno agli auguri di rito.
Eppure, chissà perché, sento che di anno in anno questi auguri diventano sempre meno di rito e sempre più veri auguri per un futuro migliore di quel passato, più o meno recente, che ci resta alle spalle con le sue sofferenze, conflitti, crisi, ed uno stato emotivo che da diverso tempo definisco "in sospensione".
Certo pensare che bastino gli auguri per poter ottenere dei cambiamenti, dei risultati o per centrare i nostri obiettivi sarebbe quanto meno superficiale ed estremamente ottimistico, se non ingenuo. Per cui all'augurio legato alla speranza, vorrei abbinare uno stimolo al fare, un incitamento al coraggio di essere artefici del miglioramento del proprio futuro.
Coraggio.
Ecco, il mio augurio per il 2023 è che si abbia coraggio.
E che lo si abbia ognuno e tutti insieme, perché le grandi cose sono il frutto del lavoro individuale come pezzetto piccolo, ma fondamentale, del lavoro della collettività.
Buon 2023 di cuore..
E coraggio!

26 dicembre 2022, - 5 al 2023.
È forse tempo di festeggiamenti?
Fin quando non ci sarà la presa di coscienza universale e consapevolezza individuale che l'unico modo per vivere, e non sopravvivere, è professare l'amore incondizionato, il perdono, la solidarietà, la telepatia e quindi l'empatia, non ci sarà mai nulla da festeggiare.
Serve un albero decorato di palline, qualche luce e la fede (con tutto il rispetto per chi ne ha) in un bambino nato in una stalla per sentirsi magicamente più buoni? Per poi terminare altrettanto magicamente 2 giorni dopo, smaltito con i detriti di cenoni, pranzi e panettoni?
No, dai, non me la raccontate.
Potete smetterla di nutrire rancore, provare superbia, covare invidia, coltivare cattiveria, praticare la discriminazione, giustificare il menefreghismo ed il conflitto e potete smettere ora, in questo momento e per sempre.
Ma la volontà è figlia del coraggio e in un mondo che si trincera sempre più dietro uno schermo, quel coraggio troppo digitale, sarà difficile da seminare perché dia frutti per l'umanità.
C'è chi lo chiama pessimismo.
Io lo chiamo realismo.

Il pallone sembrava uscire alto sopra la traversa.
Ogni volta.
Ed ogni volta, come per magia, attraverso la bacchetta magica che era nei suoi piedi, ad un certo punto, la parabola cambiava e quel pallone si infilava dritto in porta lasciando immobile qualsiasi portiere.
Era la sua "mattonella", erano le punizioni di Sinisa Mihajlovic.
Questa volta quella magia non ha funzionato e la palla si è spenta mestamente sul fondo, quasi davanti all'incredulità di chi non solo ci credeva, ma quanto meno ci sperava.
La malattia non rende "guerrieri". Chiunque vorrebbe fare gol, ma a volte non basta neppure essere Sinisa Mihajlovic.
Perché tutti i giorni ed ovunque nel mondo uomini e donne, combattono la propria battaglia per la vita, ognuno a proprio modo.
Riposa in pace Mihajlovic, ora che puoi, qui c'è chi ancora deve combattere.
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