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Se per passione intendiamo un qualcosa che suscita in noi un forte interesse, così forte da far fatica ad immaginare la propria vita senza quel qualcosa, sento di poter dire che due fra le mie più grandi passioni sono, in maniera diversa, la montagna e il judo.
Ma, se diversa è la maniera in cui sono per me passioni, mi sembra, sempre di più, che tra di loro si somiglino molto.
Tanti dei punti che hanno in comune appaiono quasi scontati, di primo acchito. La perseveranza necessaria per raggiungere l’obiettivo prefissato. La fatica. L’acquisizione della capacità di andare oltre quella fatica, con l’allenamento, un elemento imprescindibile. L’importanza del percorso necessario per arrivare in cima. L’importanza della conoscenza di quel percorso. La bellezza del panorama da su in cima…
E questi sono solo i primi punti in comune che mi vengono in mente.
Ognuno di questi aspetti meriterebbe un’attenta analisi e ragionamenti dedicati; ma ce n’è uno in più, che forse non viene citato così spesso e che credo venga sottovalutato.
Il dislivello positivo.
Per definizione: la differenza di quota tra la quota inferiore del punto di partenza e la quota superiore del punto di arrivo
Per intenderci:
Dislivello 1000+, si parte da 1500 mt. e si arriva a 2500 mt.; è già una bella camminata, per esempio.
Quando ci si prepara per una scalata o una camminata, uno dei primi indicatori della difficoltà di ciò che stiamo per fare è dato proprio dal dislivello positivo. Che nei libri e nei siti web delle vie di montagna, è segnato con i metri e con quel + vicino.
Solitamente viene segnata la massima quota che si raggiungerà, la difficoltà dell’attività e il dislivello positivo.
Nel paragone col judo, ma anche in generale, con cosa possiamo identificare il dislivello positivo?
Con ciò che abbiamo guadagnato, nella nostra salita verso la cima.
Pensando a:
1) da dove siamo partiti
2)dove siamo arrivati.
Che si parli di montagna o di judo, o di qualsiasi altro sport, e probabilmente della vita.
Abbiamo guadagnato metri verso l’alto. Centimetri e centimetri da sommare l’un l’altro. E per forza di cose, subito dopo li abbiamo persi per scendere. Ma sono quei metri guadagnati ciò che ci ha permesso di raggiungere il punto più alto, quello che avevamo in testa, dove saremmo voluti arrivare quando siamo partiti.
Sono quei centimetri, quei metri, il ricordo positivo della nostra esperienza, ciò che ricorderemo con orgoglio; sono quelli, il metro di giudizio di un’impresa, non quanti ne abbiamo fatti o quanti ce ne aspettano in discesa.
Non è mai segnato il dislivello negativo, e non si parla di quello, nelle chiacchierate di avventure di montagna. Quello è implicito. Ma serve per forza ed è inevitabile, se si vuole salire un’altra cima. O anche solo tornare a casa e riposarsi.
Fa parte del gioco. Nessuno va solo verso l’alto. Bisogna anche scendere.
Le recenti Olimpiadi ce lo hanno dimostrato. Ma chi di quei super atleti sembra aver fatto un sacco di metri di dislivello negativo e magari è stato criticato dalle poltrone di casa dai famigerati e probabilmente infelici leoni da tastiera, per farne così tanti di metri verso il basso, prima è per forza di cose dovuto salire parecchio. E’ logica. Ed è una cosa che spesso ci si dimentica, e a cui sembra si faccia fatica dare la giusta importanza.
Più si è andati in alto, più sembra rovinosa la discesa.
Ma le vette raggiungete non si dimenticano. Le cime conquistate rimangono conquistate. Le vie percorse per raggiungerle, rimangono percorse. La storia dell’ alpinismo si scrive giorno dopo giorno e nella memoria collettiva ogni cima conquistata rimane inevitabilmente scritta per sempre. Anche se poi si scende. Anche se poi si scivola e si rotola giù. Perché non deve essere così anche negli altri sport?
Il dislivello negativo è necessario perché esista quella positivo. Ying e Jang, le due parti del Tao, la Via per eccellenza, l’equilibrio per antonomasia
E qualsiasi atleta e qualsiasi allenatore dovrebbe essere ricordato per le sue imprese, non per le volte in cui non è riuscito a viverle. Perché “l’unico modo per essere sicuri di non fallire è non provarci”.
Al tramonto di un quadriennio (triennio nel caso specifico) olimpico, coi piedi stanchi e la schiena affaticata, pronti a godersi l’alba di quello successivo, credo sia più costruttivo e più bello sedersi attorno al fuoco, proprio come dopo una lunga camminata, e parlare del dislivello positivo, soprattutto se se ne è fatto davvero tanto, più che di quello negativo. Quello ci sarà sempre, ed è necessario, se si vuole scendere dalla cima e puntare a conquistare altre vette.
O anche solo tornare a casa e riposarsi.
Siamo molto fortunati ad avere lo sport. E la montagna. Perché possono davvero insegnarci a vivere una vita, in ogni ambito, migliore.
Che squadra!!! 😍😍👏👏👏🚀🚀🚀🚀 FUNCTIONAL TRAINING in 💪💪💪
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